La società contemporanea sta generando importanti sfide per i giovani tanto in campo psicologico che educativo. Le nuove generazioni sono immerse in un mondo virtuale che detta regole per buona parte delle esperienze quotidiane. Videogiochi, social media, musica digitale e altre forme di intrattenimento online sono diventati i veicoli principe grazie ai quali sviluppare interazione, apprendere ed esplorare il mondo.
Sebbene alcuni approcci provino a suggerire il contrario, a mio avviso in questo contesto, la sfida per gli educatori e gli psicologi non è più quella di contrastare o demonizzare l’uso delle tecnologie, piuttosto quella di comprendere come queste realtà possano venir utilizzate in maniera positivo, magari anche come utili strumenti di crescita. Da questo pensiero, insieme al collega Francesco Bocci, abbiamo pensato ad alcune applicazioni pratiche che hanno poi generato il costrutto che attualmente chiamiamo retro-teaching, un approccio psico-educativo che mira a sfruttare le passioni virtuali dei giovani per facilitare l’apprendimento di competenze relazionali e sociali fondamentali.
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Cos’è il retro-teaching
Il retro-teaching si basa su un concetto semplice: la società moderna e i media digitali spesso forniscono ai giovani ampio spazio per allenare competenze di natura virtuale. Contemporaneamente, molte delle abilità relazionali e sociali necessarie nel mondo reale paiono quasi di “difficile apprendimento” per molti adolescenti. Questo squilibrio sembra generarsi a che a fronte di condizioni ambientali spesso “sfavorevoli” e della potente contrazione di luoghi deputati all’incontro e alla socializzazione pensati per i giovani. In una recente ricerca svolta dal gruppo “MUSA” Antonio Tintori, tra gli autori con Loredana Cerbara e Giulia Ciancimino, ha sottolineato come la pandemia abbia esacerbato la trasposizione delle relazioni umane verso il virtuale, tanto da favorire un processo corrosivo nelle interazioni sociali dei più giovani. Viene quindi spontaneo chiedersi: è possibile intervenire in questo scenario? Magari provando ad invertire la rotta, a risalire controcorrente tenendo conto delle sfide che la società odierna ci pone? Il Retro-Teaching prova a dare una risposta a questi interrogativi. È infatti un metodo che si propone di “retrocedere” il contesto virtuale all’interno della realtà, utilizzando le esperienze digitali come cavallo di troia per promuovere la comprensione e l’acquisizione di competenze sociali essenziali. In altre parole, pensiamo che gli educatori, gli psicologi, gli insegnanti, i genitori, potrebbero svolgere un ruolo di mediatori e guide, non solo per comprendere le dinamiche virtuali, ma anche per trasformarle in opportunità di apprendimento utili a rinforzare competenze come la gestione del gruppo, la comunicazione interpersonale, l’organizzazione di attività sociali e il rafforzamento dell’empatia. Nulla di nuovo insomma. Forse però, tanto di trascurato nell’attuale panorama psico-educativo.
La teoria alla base del retro-teaching
La teoria psicologica che supporta il retro-teaching affonda le radici nella teoria dell’apprendimento esperienziale di David Kolb (1984), che sottolinea l’importanza dell’esperienza diretta come base per l’apprendimento. Kolb descrive
l’apprendimento come una sorta di ciclo continuo che parte dalla concreta esperienza, passa poi attraverso la riflessione e finisce col generare concetti astratti che si traducono in azioni pratiche. Il retro-teaching vuole sostenere proprio questo processo,riportando i giovani a contatto di esperienze concrete che nascono però in luoghi virtuali. Perché ciò avvenga però, in una società che promuove competenze perlopiù virtuali, servono adulti autorevoli che si riapproprino del compito di insegnare e favorire l’apprendimento di competenze concrete verso i giovani. Insomma: forse è vero che stiamo annegando in un mare virtuale… ma è anche vero che apprendere i rudimenti del galleggiamento potrebbe farci vivere tutto secondo una diversa prospettiva.
Secondo l’approccio di Vygotskij (1978), che ha posto l’accento sull’importanza dell’interazione sociale per l’apprendimento, gli educatori possono fungere da “mediatori” capaci di facilitare l’ingresso in uno “spazio di sviluppo prossimale”, all’interno del quale i ragazzi possano apprendere abilità più avanzate attraverso una guida esperta. In questo contesto, i giochi di ruolo, le dinamiche di gruppo all’interno dei videogiochi o la gestione delle interazioni nei social media possono trasformarsi in momenti di apprendimento per competenze che i ragazzi utilizzeranno nella vita quotidiana.
Applicazioni del retro-teaching nella pratica educativa
Immaginate di incontrare un piccolo gruppo di ragazzi in grande difficoltà relazionale. Alcuni di loro potrebbero trovarsi in situazioni di ritiro sociale o sentirsi isolati a causa dei loro interessi poco spendibili nel gruppo di pari in cui vivono le loro interazioni primarie. Cosa accadrebbe se un adulto scegliesse volontariamente di proporre loro un momento di aggregazione tramite un medium virtuale? Magari lanciando un appuntamento serale per una sessione di videogioco on-Line? Si potrebbe dare fiducia ad una proposta del genere come primo approccio educativo e ponte verso la costituzione di un gruppo? La pratica del retro-teaching ipotizza proprio questa perturbazione positiva nell’utilizzare le passioni digitali dei ragazzi come punto di partenza per stimolare discussioni e attività che hanno comunque a che fare con la vita sociale reale. Dunque se un giovane è appassionato di videogiochi, un educatore potrebbe creare un ambiente in cui il ragazzo venga incoraggiato a riflettere sulle dinamiche di gruppo presenti nel gioco, come la cooperazione, la gestione dei conflitti o la leadership, per poi tradurre queste riflessioni in scenari sociali concreti. Oppure si potrebbe partire dai social media come strumento per insegnare la gestione delle relazioni interpersonali, mostrando come un comportamento responsabile online possa riflettersi positivamente anche nelle interazioni faccia a faccia.
Nella pratica, una sessione di retro-teaching potrebbe iniziare con una discussione su un videogioco in cui i partecipanti esplorano come i comportamenti dei personaggi possono influenzare l’andamento del gioco e come questi comportamenti possano essere applicati nella vita quotidiana. Una volta che la discussione virtuale è stata avviata, tramite il retro-teaching potremmo indirizzare i ragazzi a esplorare come formare gruppi, organizzare una pizzata o risolvere un conflitto tra pari nella realtà, usando le competenze sociali apprese dal gioco.
Un caso applicativo del retro-teaching
Un esempio particolarmente efficace e coerente con i principi del retro-teaching è rappresentato dalla Videogametherapy®, un modello terapeutico ideato dallo psicologo e psicoterapeuta Francesco Bocci, che utilizza i videogiochi come strumenti di mediazione relazionale e crescita psicologica. La Videogametherapy si configura come un approccio innovativo che non si limita a considerare i videogiochi come semplici passatempi, ma li eleva a vere e proprie esperienze trasformative, capaci di stimolare riflessioni, consapevolezze e comportamenti sociali adattivi.
In linea con i presupposti del retro-teaching, Bocci propone un utilizzo intenzionale, strutturato e guidato del contesto videoludico, attraverso un percorso che parte dall’analisi delle dinamiche relazionali vissute nel gioco per giungere alla loro trasposizione nel mondo reale. L’obiettivo è facilitare nei pazienti, soprattutto adolescenti e giovani adulti, lo sviluppo di competenze emotive e sociali come l’empatia, la gestione dell’aggressività, la cooperazione e il problem solving.
Ciò che rende la Videogametherapy un perfetto esempio del retro-teaching è la capacità del terapeuta di muoversi dentro il linguaggio simbolico e narrativo del videogioco, accompagnando il paziente in un processo di decodifica esperienziale: non si tratta di “giocare per evadere”, ma di “giocare per capire”. In questo senso, il terapeuta assume la funzione di mediatore educativo, proprio come previsto dall’approccio vygotskiano, facilitando l’emersione di significati e apprendimenti all’interno di uno spazio protetto, condiviso e riflessivo.
Questo circolo virtuoso rappresenta un ponte tra il mondo virtuale e quello reale, dove il gioco diventa palestra di emozioni, comportamenti e relazioni.
In ambito educativo, tale approccio si rivela particolarmente utile non solo in contesti terapeutici, ma anche in setting scolastici e formativi, dove l’uso consapevole del linguaggio videoludico può favorire l’inclusione, l’apprendimento cooperativo e la motivazione intrinseca, secondo i principi della teoria dell’autodeterminazione di Deci e Ryan.
Benefici del retro-teaching
I benefici di questa strategia psico-educativa paiono molteplici. in anni di lavoro con ragazzi in ritiro sociale, partire dalle passioni virtuali di chi sente difficile relazionarsi con gli altri, mi ha permesso di stabilire un legame positivo tra il mondo digitale e quello reale, evitando il rifiuto o la svalutazione delle passioni giovanili. Generare un ponte dal virtuale al reale in una serata promossa presso un centro di aggregazione che offre prima una sessione online di Minecraft e poi una pizza margherita, garantisce ai giovani un’opportunità unica di apprendere competenze sociali attraverso esperienze con cui si sentono già familiari, rendendo il processo educativo meno estraneo e più motivante. Si tratta di favorire l’acquisizione di competenze trasversali, come la cooperazione, la comunicazione e la risoluzione dei conflitti, che sono fondamentali non solo per il successo nelle relazioni interpersonali, ma anche per il benessere psicologico e sociale degli individui.
In un’epoca in cui l’esperienza virtuale ed online occupa uno spazio sempre maggiore nelle vite dei giovani, questo approccio psico-educativo potrebbe rivelarsi particolarmente utile per aiutare i ragazzi a sviluppare le competenze sociali necessarie per interagire efficacemente nel mondo fisico. Educatori e psicologi, attraverso l’accompagnamento, la guida e il ricalco delle esperienze digitali, potrebbero sempre più così accompagnare le giovani generazioni verso una maggiore consapevolezza e una più efficace gestione delle proprie relazioni interpersonali, favorendo una crescita equilibrata tra realtà virtuale e relazioni autentiche.
Bibliografia
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